ROMA - (28 Febbraio, h.19.11)
Fumoso antipasto di
Hammam al vapore, Minestra kashèr,
Polpettone di Fate e alla fine il conto da pagare: così,
un giorno, tra via Cavour e
il
Campidoglio, su un piattino in silver plate, vide la luce Cuore
Sacro.
Nel
nostro strano paese è difficile occuparsi della settima arte
evitando un periodico tributo a chi ti ha sostenuto, promosso,
sopravvalutato
e poi
premiato. Moretti docet. Ecco quindi il primo film di Ozpetec contro
Berlusconi, lo
aspettavamo tutti e ora siamo piu’ tranquilli. Il noleggio del set si
è
rivelato un ottimo affare per il sindaco della città eterna:
è bastato un
colosseo, qualche vigile urbano per bloccare il traffico, due o tre
tonnellate di
buonismo di risulta, riciclato con un sofisticato processo di
estrazione
dai tanti volumi invenduti del mayor, ed il kebab è pronto per
ostruire anche
gli intestini più allenati.
Nel
fantastico mondo del mago Oz-petek vigono nuovi comandamenti: non sono
i ladri
che rubano, ora è prerogativa delle bambine prossime alla
canonizzazione; non sono le imprese industriali a mandare avanti
l'economia,
sono troppo occupate a provocare suicidi collettivi di investitori
in
rovina e ad imporre false necessità alle popolazioni del terzo
mondo; a nulla
vale l’altruismo disorganizzato, devi avere il bollino della Caritas o
di una cooperativa a tinte arcobaleno; tutto secondo un disinvolto
copione che sembra ispirato alla guida
turistica di Porto Alegre.
In
questo contesto la scelta del personaggio meno credibile del
film è ardua, ma certamente ha ottime chance la bambina
Benny Hood.
Muore perché dopo aver derubato una libreria, pratica
espletata a giorni
alterni, qualcuno si è permesso di correrle dietro invece di
comprarle un gelato, e
lei è finita sotto un'auto. Con prontezza la buona
coscienza del
mondo, incarnata dalla poco presente madre,
accusa quella
cattiva di averla
assassinata. La chiave di lettura
è fin
troppo semplice: occupate le case, svaligiate i supermercati, siete
poveri, ne
avete necessità e quindi diritto, chi si oppone è senza
cuore. Anche questo è un
retaggio Veltroniano: nella
capitale questi reati non sono perseguiti né biasimati. Nel
quartiere in cui
Ozpetek ha girato Le Fate Ignoranti almeno 5 grossi stabili, di
proprietà
pubblica, sono occupati abusivamente da anni, tra i più assidui frequentatori figurano assessori comunali e
presidenti di circoscrizione. In città gli appartamenti
sottratti ai legittimi proprietari sono migliaia. Al tiburtino si
pratica
impunemente
la spesa
proletaria, ma non sono gli affamati a rubare nei supermercati, lo
fa solo chi elemosina il loro consenso.
Ma il
maestro di Istambul sembra non accorgersi che non
esistono
i nuovi poveri, perché sono l’evoluzione dei precedenti,
il tenore di vita nel nostro paese
è più alto
del passato, per questo motivo accade che i piu' poveri siano persone
che hanno
un tetto ed anche un televisore ma che si servono alla mensa
della Caritas perché non arrivano a fine mese: questo è
un
passo avanti se rapportato
al tempo in cui non avevano neanche una casa ed un televisore, ma a
governi
alterni il bicchiere conviene vederlo mezzo vuoto.
I
baraccati del film esistono, sono i tanti immigrati che ogni
giorno raggiungono a migliaia il nostro paese senza alcuna garanzia e
che
stentano ad inserirsi, è d'obbligo aiutarli ma senza farne uno
strumento di
lucro e propaganda. Invece la tesi del film - aiutare i poveri
dall'interno di
un'organizzazione e non da free lance
- sembra commissionata dai
detentori del
business politico-economico del no-profit capitolino.
Cuore
Sacro è il manifesto del cattocomunismo nostrano e Ozpetec
ben rappresenta
la figura di un profeta rivoluzionario con l’investitura di avvalorare
una
spartizione di interessi come male necessario.
Queste sono le intenzioni all'origine di
una
pellicola che non ha alcun peso, tanto da ricorre alla pista sonora per
scuotere
gli animi: non
avremmo mai riconosciuto i momenti topici senza le percussioni in dolby
surround o i vibranti violini new age; e la maestria della
protagonista
femminile non fa che accrescere la frustrazione di vedere 2700 metri di
pellicola proiettare inutili ombre su uno schermo che avremmo preferito
rimanesse bianco.
Fulvio
Napoli