No global: nichilismo, mentalità utopica, antagonismo politico


Prof. Fabrizio Gualco
Tratto da www.ragionpolitica.it

 



Il nichilismo si concretizza attraverso molteplici forme, tutte poste, in modo o nell'altro, sotto il segno della riduzione. Il riduzionismo in tutte le sue forme, per dirla con Victor Frankl, è in ogni caso il nichilismo di oggi. La riduzione implica una sottrazione, ovvero un atto di negazione nei confronti del reale. Nichilisticamente, si nega la realtà della verità e la verità della realtà. Da un punto di vista antropologico, la mentalità nichilista riduce l'uomo al di sotto di se stesso. Nega ad esso lo status che gli compete come essere umano. A tali condizioni, si innesca fatalmente quanto tragicamente un gioco al ribasso, la cui posta comprende il destino della cultura politica e della vita sociale. Il soggetto è niente di meno che la persona nella sua unità corporea e psichica. L'oggetto è in mondo in cui la persona è chiamata a vivere.

Il nichilismo come ideologia ha fallito nell'intento di ridurre l'uomo ad un ingranaggio del corpo sociale. Ha fallito nell'intento di ridurre la società civile ad un formicaio. E' possibile pensare che il dilagare della mentalità nichilistica nei toni e nei modi di pensare e di vivere di una parte della società non sia uno status quo permanente. Più che un punto di approdo definitivo, il nichilismo è una condizione transitoria. Una condizione segnata dalla temporaneità.

Le rappresentazioni storiche delle ideologie, per quanto cronologicamente lunga possa essere la loro azione nel mondo e sul mondo, sono determinate dalla temporaneità: come ha recentemente scritto Baget Bozzo (cfr. Profezia, Mondadori, Milano 2002), anche il comunismo, nelle sue forme storicamente conosciute e riconoscibili, muore. E se non muore è solo in virtù della sua deideologizzazione: come nel caso della Cina, di Cuba, della Corea del Nord.

Tuttavia, e specialmente in Italia, la mentalità ideologica è ancora massicciamente all'interno del panorama culturale, soprattutto nella forma dell'utopia, che attraverso il fenomeno del no global (o del new global, se si preferisce) si determina come teoria e pratica di antagonismo politico, sociale e culturale.

L'ambito del no global, variegato e complesso fino alla confusione, è l'abito utopico che veste le nudità ideologiche della cultura di sinistra. Come direbbero Hölderlin e Heidegger - ma non nel senso di Hölderlin e Heidegger -, i vecchi dèi sono spariti: e quelli nuovi devono ancora fare la loro comparsa. Rimane una sorta di spazio vuoto, angoscioso ed angosciante. Un territorio di frontiera che in passato le ideologie storiche, attraverso il patrocinio di numi tutelari come Lenin, Stalin, Hitler, Mao e Pol Pot, hanno tentato di occupare e colonizzare attraverso la creazione di religioni, idoli e divinità tutte mondane.

Il Novecento è stato il secolo che ha registrato i danni prodotti dalla mentalità utopistica come forma di nichilismo e certificato la pericolosa inutilità della cultura politica che si è sviluppata sul terreno cultuale dello pseudorazionalismo ideologico. Ma se il pantheon ideologico ha dimostrato la sua impotenza, al nichilismo come utopia e all'utopia come antagonismo ciò non interessa più di tanto. Il testimone passa di mano, anche se non può che testimoniare il nulla. Cambiano i tempi e le circostanze storiche. Mutano le tecniche e forse anche le tattiche. Cambiano le forme, insomma, ma il non contenuto. La coscienza dei risultati totalmente fallimentari viene rimossa. L'eredità negativa consegnata dalla storia alla memoria non influisce sulle prese di posizione indotte da presupposti dogmatici creati mentalmente. Alla persona si preferisce la "soggettività" impersonale della "moltitudine". All'intelligenza personale si preferisce il cosiddetto general intellect coniato da Marx.

La mentalità antagonista tende a colmare il vuoto psichico sociale e politico causato dal crollo dei sistemi ideologici. Un vuoto che attira la tentazione utopica come un buco nero attira la materia spaziale. Le forme di nichilismo espresse dall'antagonismo utopico si traducono in forme di contestazione fine a se stesse, e non di rado attuate attraverso la pratica della violenza verbale e fisica. Una violenza che miscela disperazione e debolezza, arroganza e presunzione. Una violenza che parla di pace ma che nei fatti sostituisce il dialogo al dibattito: finge di discutere, ma in realtà inveisce ed aggredisce. E l'invettiva e l'aggressione nascono dalla convinzione di avere scoperto la verità tutta intera, nata a sua volta della falsa constatazione del fondamentale non-senso della vita e del mondo, di ciò che si è e di quel che si fa.

L'invettiva e l'aggressione non si fondano sulla ragionevolezza, ma sulla presunzione di verità assoluta ed incontrovertibile che fa da paravento una inconfessabile disperazione esistenziale. Mancando un criterio fondato su cui basare il dire e il fare, l'antagonismo utopico si affida all'altalena dei ritmi psicologici. Non a caso Sturzo ricorda che l'animo persone, anche di fronte a questioni d'importanza capitale, si comporta come i titoli della Borsa Valori in una giornata finanziariamente convulsa.

Da questo punto di vista è esemplare è la parabola discendente che dall'illuminismo porta alla cosiddetta postmodernità. Come ho scritto altrove, l'esperienza del pensiero postmoderno, ossia il pensiero contemporaneo degno successore del peggior razionalismo illuminista, è la tragedia della vita che interroga se stessa cercando in tale attività non risposte concrete ma pause fittizie, buone per lenire la fondamentale angoscia che lo circonda.

Propriamente, il pensiero antagonista non esiste. Esiste solo l'antagonismo come timbro del pensiero e tono dell'azione. Ciò riporta al carattere intrinsecamente reazionario delle forme e delle pratiche nichiliste. Seppur con stili, toni e modi diversi, si reagisce sempre contro qualcosa, contro qualcuno. La realtà è negativa, invivibile: ergo: il mondo non va modificato, ma sovvertito. In quanto tale l'azione efficace non può essere costruttiva, ma solo distruttiva. La reazione è la discesa in campo del risentimento contro qualcosa o qualcuno di cui si pretende di avere compiuta conoscenza. E' disobbedienza incivile. Ed ambigua come lo può essere una miscela di buone intenzioni e cattivi propositi.

Il nichilismo nella sua forma utopistica e reazionaria sembra non tener conto che più l'orizzonte mondiale si globalizza, più la coscienza umana diventa protagonista. Più tutto sembra tendere all'uniforme, più la coscienza individuale emerge nella sua inclinazione alla costruttività, alla libertà di giudicare, di scegliere, di fare. Com'è noto, sul nulla non si costruisce nulla. Contraendo il virus del nichilismo, il pensiero critico rinuncia ad farsi segno ed esperienza di libertà. La sua "anima" trasmigra altrove e il cadavere che ne resta cerca di imbellettarsi come letteratura fine a se stessa, racconto, fabula delirante a cui spetta il compito paradossale di fondare un popolo ed una identità di cui sin dall'inizio si percepisce la sostanziale assenza. Eloquente Gilles Deleuze, l'inventore di buona parte del linguaggio usato nel circuito no global, quando nelle pagine di Critica e clinica scrive che «il mondo è l'insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l'uomo. La letteratura appare allora come un'impresa di salute (. ..) la salute come letteratura, come scrittura, consiste nell'inventare un popolo che manca». E' la conclusione tragica, ma in sé coerente, della mentalità nichilista.

Odiernamente, attraverso l'esercizio dell'intelligenza, della libertà e della responsabilità che si ascrive alla coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità, la persona è chiamata a vivere ed operare nel presente. E, nel presente, a progettare il proprio futuro senza rimuovere dalla coscienza il passato.

Quanto più si vive il presente, tanto più vasta dovrebbe essere la coscienza del passato e la fiducia nel futuro. Poiché il presente non rifiuta né il passato né futuro, ma al contrario, in un certo modo vuole entrambi con sé. Il passato si lega al presente attraverso la memoria. Nella memoria il passato si fa contemporaneo e fornisce quella misura di chiarezza indispensabile alla capacità di discernere onestamente fra creazione e distruzione, sensatezza e nichilismo, bagaglio e zavorra.

Il futuro riceve dal presente le sue forze originanti, come un figlio dal padre. Attraverso la creatività, l'ideazione, la progettualità, l'uomo realista si basa sul ciò-che-è al fine di edificare il ciò-che-sarà. Chi sa da dove viene ed il luogo presente in si trova, può ragionevolmente pensare a dove gli è dato di arrivare e, dunque, è in grado di agire di conseguenza in vista del bene proprio e quello comune.

Cosciente del passato, radicato nel presente, fiducioso nel futuro: questa prospettiva predispone l'uomo a riconoscere che la vita ed il mondo possiedono un senso ed un significato positivi, che permangono tali anche quando, temporaneamente, non vengono percepiti come tali. La vita della persona e il mondo in cui la persona vive possiedono realtà e verità, presenze e non parvenze. La persona, ogni persona, possa vivere la propria vita nel mondo senza impaludarsi nel pessimismo e nell'angoscia esistenziale che i profeti e le sirene di turno spandono a piene mani attraverso la ventosità della loro parole.

Sostenere che la vita ha senso e significato equivale a dire che il nichilismo non è il destino dell'Occidente, così come in un modo o nell'altro affermano filosofi illustri quali ad esempio Massimo Cacciari-Nietzsche, Gianni Vattimo-Heidegger o Emanuele Severino-Parmenide. Sotto questo aspetto il destino non è una pre-determinazione inamovibile, stabilita una volta per sempre, ma una delle vocazioni che appartengono ad ogni essere umano che sappia e voglia dirsi libero e responsabile. Il destino non annulla la libertà, ma semmai la "provoca", la esorta a concretizzarsi, a dare prova di sé, a realizzarsi e verificarsi. . Il perfezionamento personale e sociale, e dunque anche politico e civile, non è, né peraltro è mai stato, il frutto dell'applicazione pratica di qualche ricetta cerebralmente precostituita.

Essere consapevoli del senso della vita e della positività del mondo significa inoltre stornare l'illusione dell'isola-che-non-c'è, e camminare passo dopo passo, consapevoli della lunghezza delle proprie gambe. Senza la pretesa di saltare al di là della propria ombra.